Ascanio Celestini @ Teatro Secci di Terni “Pro-Patria – Senza Prigioni, Senza Processi”, la recensione

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La stagione di prosa 2011-2012 del Teatro Stabile dell’Umbria gioca uno dei suoi pezzi da novanta. Il romano Ascanio Celestini presenta la sua ultima opera “Pro Patria – Senza Prigioni, Senza Processi”.  Monologo della durata di cento minuti che ci fa fare un viaggio a ritroso dai giorni dell’Unità d’Italia fino alle prigioni dei giorni nostri. Nell’uscita di ieri, teatro colmo in ogni ordine di posto tranne qualche sporadica postazione. Pubblico poco eterogeneo. Una moltitudine di signori sulla sessantina e un intrepido gruppetto di giovani tra cui il sottoscritto che rendevano l’età media del pubblico sui quarantanove circa.

Scenografia del palco spoglia. Palco decadente, colorato da teli neri, una pedana in obliquo che rappresentava un piccolo “cortile” due metri per due  e uno sgabello rosso. Le sue movenze sul palco sono state piuttosto statiche tranne per il suo circolare a mo’ di detenuto all’interno della pedana simulando chi è detenuto in cella.

Il monologo di Celestini è incentrato sulla contro-vertigine, sul rivoluzionario-esiliato Mazzini e su un detenuto di colore chiamato “Negro-Matto-Africano”.

La contro-vertigine è quella forza di attrazione verso il vuoto che attira chiunque si sporga da un balcone. Celestini colpisce e affonda, quando sostiene che nella vita tutti almeno una volta abbiamo pensato di fare un salto giù dal balcone. Un salto nel vuoto che non è atto a realizzare la fine delle nostra esistenza; più che altro è un input etico a dirigersi verso un qualcosa di ignoto che non si conosce. Come hanno fatto per l’appunto i nostri progenitori che non avevano idea di cosa fosse uno stato nazionale, che non avevano idea concretamente di che cosa fosse una res-publica.

Mazzini viene citato spessissimo da Celestini. Il Giuseppe Nazionale viene utilizzato infatti, come interlocutore immaginario. Viene intervistato da Celestini sui tanti ingiusti motivi sull’instaurazione del modello detentivo di espiazione della pena in Italia “Vero Mazzini?”.  Celestini retoricamente incornicia le massime mazziniane “La mia rivoluzione è stata fatta senza prigioni e processi”. Ebbene ironia della sorte il frutto della rivoluzione mazziniana è appunto uno Stato che prevede il modello detentivo per chi compie reati.

Per essere corrosivo contro le minacce ricevute da Casapound, Celestini incentra gran parte del suo monologo parlando di un detenuto di colore “Negro Matto Africano”. Lo rende protagonista dello show dedicato al risorgimento italiano. Parla delle condizioni idriche del paese di provenienza dell’africano “L’acqua era così poca, che l’ottimista il bicchiere lo vede mezzo vuoto, perché il pessimista non sa neanche cosa sia l’acqua”. Il ragazzo di colore vive odissee di razzismo e di sevizie compiute dai secondini. Unico suo volere quello di uscire un pezzo alla volta dalla struttura carceraria.

Il linguaggio utilizzato da Celestini è stato sfaccettato e variegato. Si passa da figure retoriche come anafore e allitterazioni passando per un linguaggio più semplice e universalmente comprensibile.  Arricchisce il suo monologo anche con parlate in dialetto romano. I passaggi in romano hanno reso più agevole e comprensibile il suo discorso che in alcuni casi risultava essere troppo pindarico e quindi poco comprensibile.

La bellezza dell’opera di Celestini non si esaurisce qui. La sua memoria storica ricorda alcuni eroi italiani che non sono notissimi ai più, ma fondamentali e strumentali nel processo d’Unità. Tutti questi “antieroi” vengono rigorosamente accompagnati dalla loro età di dipartita.  Manara  morto a ventuno anni, Morosini diciotto, Anita Garibaldi ventotto e l’orfanello Righetto di soli dodici anni. Sornionamente ricorda a Mazzini che invece lui si è spento alla veneranda età di sessantasette anni e non è stato attirato dalla contro vertigine come i suoi più giovani compagni di rivoluzione.

Conclude parlando di spread. Che non è il differenziale tra titoli di stato tedeschi e quelli italiani, bensì del differenziale dei detenuti tra Italia (142 detenuti ogni 100 posti) e Germania (92 detenuti ogni 100 posti).

Canta l’iniquità della riabilitazione nelle carceri, dei suicidi nelle carceri degli innocenti e di tutte quelle figure che anche se sbagliando non meritano uno Stato-secondino ma uno stato che li renda abili e arruolati per il mondo del lavoro.

Un moderno Montesquieu che si batte contro l’istituzione carceraria, contro le pene detentive, che ha riletto in chiave tagliente l’Unità d’Italia in maniera spregiudicata ed anarchica da qualsiasi schema predefinito. Da vedere assolutamente.

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