E’ morto padre Vincenzo Bella, socio fondatore di ”Aiutiamoli a vivere”. Il ricordo di Pacifici

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padre-vincenzo-bellaLo scorso giovedì è morto padre Vincenzo Bella, socio fondatore, insieme a Fabrizio Pacifici,  della fondazione “Aiutiamoli a vivere”. In un comunicato Pacifici descrive Vincenzo Bella come “un frate! Un uomo gioviale, accogliente, di grande umanità e sensibilità verso i piccoli sofferenti, aperto con tutti ed arguto (proverbiali i suoi detti, le sue massime e le sue barzellette). Un uomo che amava la sobrietà, la semplicità e la povertà che lo accompagnava ogni giorno ed in ogni suo gesto”.

Sarà allestita la camera ardente nella Parrocchia San Giuseppe Lavoratore di Terni in via xx settembre, 166 a partire dalle 16 di oggi 30 marzo 2013. I funerali saranno ossequiati dal Padre Provinciale dei Frati Minori Conventuali Padre Franco Buonamano il giorno 1 aprile 2013 alle ore 11,00 nella Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore in Terni, via xx settembre, 166.

Nel suo testamento, Padre Vincenzo, ha chiesto di rimanere nella sobrietà, semplicità ed umiltà ed offrire in sua memoria non fiori ma gesti di concreta solidarietà per la sua Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” Ong. Chiunque voglia farlo (Comitati, Famiglie, amici e conoscenti) potrà effettuare versamenti nel conto della Banca Popolare di Spoleto di Terni al conto corrente n. 17416 (Cod. IBAN IT72 B057 0414 4000 0000 0017 416) con la causale : “in memoria di Padre Vincenzo Bella”.

Quella che segue è parte del libro scritto ne dicembre 2012 da Alberto Favilla in occasione del ventennale della fondazione Aiutiamoli a vivere in cui emerge un ritratto di padre Vincenzo Bella e della sua attività a Terni:

Sono le prime ore del mattino del 4 novembre del 1966 quando il Capo redattore della sede Rai di Firenze Marcello Giannini (la Rai in quegli anni aveva sede, in pieno centro storico, in piazza Santa Maria) chiama il suo direttore a Roma informandolo che a Firenze sta succedendo il Finimondo, che l’Arno è straripato. “Ecco – disse Giannini – non so se da Roma sentite questo rumore. Bene, quello che state sentendo non è un fiume ma via Cerretani, è la via Panzani, è il centro storico di Firenze invaso dalle acque”.

Il 1966 è ricordato come l’anno dell’alluvione di Firenze, che causò una quarantina di morti, ma è anche l’anno in cui per la prima volta Vincenzo Bella arriva a Terni. “Sono nato tanti anni fa a Messina, in Sicilia, terzo di quattro figli; la mia era una famiglia normale: mio padre un piccolo imprenditore nel campo della calzoleria; erano gli anni post-bellici quando le scarpe si facevano su misura. Ricordo il lavoro degli operai davanti alla “banchitta”, il piccolo banchetto di lavoro dove ognuno aveva i suoi attrezzi. Mia mamma era casalinga. L’infanzia l’ho trascorsa nel mio quartiere dove c’era la parrocchia di San Giuliano – dove ero stato battezzato – retta dai frati minori conventuali”.

“A 18 anni, dopo il Ginnasio, conosco Padre Vittorio Costantini, il Ministro Generale dei frati minori conventuali in visita ala Parrocchia; a lui confido la mia vocazione, l’idea di diventare frate e lui per tutta risposta mi invita a Gubbio, la sua città, dove c’era il Seminario dei frati. A Gubbio completerò gli studi ginnasiali, poi mi trasferirò a Spoleto dove rimango tre anni per gli studi liceali… dopo Spoleto, eccomi ad Assisi, dove intraprendo gli studi di filosofia e teologia. È l’anno 1965, il 14 luglio, quando vengo ordinato sacerdote proprio da Monsignor Vittorio Costantini, vescovo di Sessa Aurunca, presso la cappella dell’allora Villa Redenta di Spoleto. Ho 29 anni”.

L’anno dopo, è il 1966, padre Vincenzo viene invitato a Terni, è il suo primo incarico, come vice parroco della nascente chiesa di San Giovanni Battista. Parroco di quella chiesa di quartiere è padre Serafino Piccinini. A San Giovanni, in realtà, ancora non c’era la Chiesa e fungevano da luogo da culto due cappelle: una in via Montanara e una in via XX settembre. “Noi frati abitavamo in un piccolo appartamento in via xx settembre. Il 23 giugno del 1967 inaugurammo, finalmente, la nuova chiesa, in via Piana dei Greci. San Giovanni è sempre stato un quartiere difficile, ma riuscimmo a riunire un buon numero di giovani intorno alla chiesa. Io rimasi fino al 1970, quando fui trasferito a Foligno dove rimango resto nove anni, poi ancora in trasferta a Cattolica, quindi di nuovo a Terni, mia città d’adozione”.

A Terni padre Vincenzo rimane fino al 1994, anni di crisi, di sofferenza, in particolare per le classi meno abbienti, alle quali i vari governi che si susseguono non fanno altro che chiedere sacrifici. La crisi, si era appena usciti da Tangentopoli, si sente anche a Terni, in particolare è la crisi dell’Acciaieria a farsi sentire – il governo in quegli anni avviò una vasta privatizzazione dell’apparato industriale – e nel quartiere non sono pochi gli operai che finiscono in cassa integrazione e i giovani fanno sempre più fatica a trovare un posto di lavoro.

Il governo Amato, intanto, affronta in maniera drastica il problema del debito pubblico, giunto al 108% del Pil nel 1992. Il Trattato di Maastricht aveva “raccomandato” a tutti i paesi di non superare la soglia del 60 per cento nel rapporto tra debito e Pil! Il governo Amato, allora, varò la più pesante manovra di finanza pubblica della storia repubblicana.

“Nel ’91, in un contesto nazionale così difficile, conosco Fabrizio Pacifici. A presentarmelo è Moreno Peciarolo, un giovane che frequenta la chiesa e che è collega di Fabrizio al corpo dei vigili urbani. Moreno mi dice che quel suo amico ha un’idea fissa in testa: vuol portare i bambini di Chernobyl in Italia, a Terni, ospiti delle famiglie della parrocchia. Accolgo subito l’idea e dico a Moreno che voglio conoscere il suo collega, anche se mi dice che lui in una Chiesa non è mai entrato”.

A convincere Fabrizio Pacifici che entrare in Chiesa non è “peccato”, ci penserà proprio Padre Vincenzo. Lui ha il motivo giusto per convincerlo. “A Fabrizio dissi che sarebbe dovuto venire in chiesa la domenica, durante la messa, e dopo l’omelia avrebbe dovuto parlare lui ai parrocchiani spiegando la sua iniziativa. Ricordo che non batté ciglio e la domenica alle 11, puntuale, si presentò in chiesa”. E la “predica” di Fabrizio fu un successo: 19 famiglie della parrocchia offrirono la loro disponibilità ad accettare nelle proprie case i bambini bielorussi che dopo un mese arrivarono a Terni accompagnati da due maestre.

Era la prima volta che in Italia si verificava un’ esperienza del genere. Fu un clamore: ne parlarono giornali e televisioni anche a livello nazionale. “Fummo ricevuti in udienza da papa Wojtila – argomenta, quasi commosso Padre Vincenzo – non dimenticherò mai il suo sguardo verso i bambini e mi ricordo anche che si rivolse a Fabrizio in maniera affettuosa invitandolo a continuare nella sua opera, a non stancarsi. “mi raccomando” gli disse il Papa… Intanto con Fabrizio era nata un’amicizia, una stima reciproca; apprezzavo la sua sensibilità, la sua voglia di fare del bene, di amare il prossimo pur non frequentando la chiesa.”

Padre Vincenzo, intanto, insieme ad altri frati aveva organizzato un corso di cristianità di tre giorni nel convento Spagliagrano di Todi. Ci pensò a lungo, poi decise di invitare al corso quel “comunista generoso”. Dopo l’esperienza della Fgci, siamo nel 1991, il partito aveva dato un altro incarico importante a Fabrizio: dirigere l’Arci – Uisp e lui aveva organizzato la “Ovest – Est: due ruote per la pace”, una cicloturistica Terni – Minsk che aveva l’intento di collegare Est e Ovest, dopo tanti anni di guerra fredda.

“Quando Padre Vincenzo mi invitò a partecipare al corso di cristianità ci rimasi di stucco, ma poi accettai e ancora oggi non so bene per quale motivo; forse il ricordo di mia madre morta con il crocifisso in mano. È certo, comunque, che quel frate mi aveva colpito, mi sapeva dare risposte che da solo non riuscivo a trovare e poi lui alle chiacchiere che io conoscevo, in particolare quelle dei politici, preferiva i fatti. Tra il dire e il fare, quando eri con lui, in mezzo non c’era il mare. Insomma, la sua vita la presi ad esempio. A Todi, in quel convento isolato ma suggestivo, maturai l’idea di una Fondazione e ne parlai subito con Vincenzo, il quale mi rispose che la parrocchia non aveva un soldo, ma l’idea gli piaceva e che quindi il suo impegno sarebbe stato totale”.

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