Ospedale di Terni all’avanguardia per cura fibrillazione atriale: terapia chirurgica ed ibrida

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Ospedale Santa MariaTerapia chirurgica ed ibrida mediante radiofrequenza bipolare: è questa la nuova frontiera tecnologica per il trattamento della fibrillazione atriale, la patologia cardiaca che rappresenta la più comune forma di aritmia con 500 mila pazienti in Italia e 60 mila nuovi casi ogni anno. In Umbria i primi due interventi sono stati eseguiti nei giorni scorsi dall’equipe di aritmologi e cardiochirurghi (Giovanni Carreras e Valentino Borghetti), coordinata da Alessandro Pardini, direttore del dipartimento Cardiotoracovascolare dell’azienda ospedaliera “Santa Maria” di Terni.

Il primo intervento è stato eseguito su un paziente di 48 anni sottoposto ad una procedura completamente endoscopica (senza apertura del torace) e il secondo su un paziente di 67 anni, con tecnica di ablazione completa biatriale, intervento tradizionale a cuore aperto. Entrambi i casi si sono conclusi con successo, senza complicanze maggiori, e i pazienti sono stati dimessi rispettivamente in settima e in ottava giornata postoperatoria. “Il trattamento delle aritmie – sottolinea il direttore generale dell’azienda ospedaliera di Terni, Andrea Casciari – è l’ultimo tassello per arrivare a trattare tutte le cardiopatie dell’adulto. Questi due primi interventi costituiscono la partenza di un programma ambizioso per il trattamento delle aritmie più complesse, attraverso l’integrazione tra cardiologi e chirurghi all’interno di un dipartimento ben strutturato che già oggi, per la riparazione delle valvole mitrale (il 92% dei casi) e aortica, per gli aneurismi dell’aorta e per il trattamento più moderno di forme complesse di cardiomiopatia, registra più del 25% di pazienti provenienti da fuori regione”.

La fibrillazione atriale è una patologia cardiovascolare di particolare rilevanza dal punto di vista epidemiologico, che mostra un progressivo aumento di frequenza con l’aumentare dell’età. Oltre alla possibilità di indurre insufficienza cardiaca, la fibrillazione atriale incrementa di 5 volte il rischio di ictus cerebrale e circa un quinto di tutti gli ictus sono attribuibili a questa aritmia. “Per questo motivo – spiega Alessandro Pardini – nel corso degli ultimi anni il trattamento della fibrillazione atriale si è fortemente evoluto e recentemente sono state proposte procedure cosiddette ibride allo scopo di combinare i vantaggi delle procedure percutanee transcatetere e delle procedure chirurgiche mininvasive toracoscopiche. Queste tecniche necessitano di una stretta collaborazione tra aritmologi e cardiochirurghi sia nella fase diagnostica sia in quella strettamente operatoria. La tecnica ibrida prevede, come nel caso del nostro primo paziente operato,  un intervento chirurgico vero e proprio, seppure a torace chiuso, che può essere seguito da un intervento effettuato dall’aritmologo attraverso una vena periferica”.

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