Prospettive economiche di Terni, infrastrutture e politiche, intervista al professor Sergio Sacchi

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prof Sergio SacchiAd 8 mesi dalle elezioni amministrative di Terni, il dibattito elettorale sta entrando nel vivo ma l’attenzione è concentrata su candidati sindaci, primarie, alleanze e liste. Per fare il punto della situazione su prospettive economiche e politiche auspicabili, abbiamo intervistato Sergio Sacchi, professore in Politiche dello sviluppo locale alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.

La Cgil di Terni da tempo chiede il riconoscimento dello stato di crisi complessa industriale con conseguenti politiche di reindustrializzazione. In un Paese in cui è in atto una deindustrializzazione diffusa, che non attrae capitali esteri, è possibile attuare politiche di questo tipo a Terni?

Parliamo di un’area circoscritta e non di un intero Paese o di un intero continente, quindi alcuni strumenti come credito agevolato o agevolazioni fiscali sono probabilmente inutilizzabili: si porrebbe il problema ‘perché a Terni invece che altrove?’. Gli strumenti attuabili sono quelli della buona volontà di lavorare delle comunità insediate sul territorio. In questo senso, esperienze di concertazione e patti territoriali, sono la chiave di volta per una strategia locale. Però finora sono sempre stati invocati, e ho l’impressione che anche la Cgil commetta questo errore, come l’aspirina che non fa passare il malanno ma magari da’ un po’ di sollievo. Il patto territoriale cioè l’iniziativa di concertazione locale a volte rischia di essere, ed è stato dimostrato che in Italia quasi sempre lo è stato, solo una politica di accordo spartitorio invece che una politica che dovrebbe essere di integrazione delle energie del territorio rispetto a qualcosa che manca e su cui c’è ampio accordo.

Anche in Umbria è avvenuto questo?

Ovviamente sì. Associazioni di categorie e rappresentanze chiedono da anni sempre le stesse cose e le istituzioni ne offrono delle altre lasciando insoddisfatta la domanda. A Terni in particolare le forze sociali in genere chiedono i raccordi con Civitavecchia, i collegamenti con Roma, il raddoppio della Ancona-Roma, un miglioramento della Flaminia. Da un lato si tratta di cose molto grandi che sfuggono alla possibilità per problemi di spesa ma è anche vero che forse se tutti fossero d’accordo sull’uno o sull’altro obbiettivo ci si potrebbe cominciare a lavorare in modo serio. La cosa peggiore da fare è invece partecipare per anni all’intermodale di Orte, poi all’improvviso uscirne perché il portafoglio non regge.

E’ solo una questione di portafoglio o è stata una scelta dettata anche da altri motivi?

La questione di portafoglio segue la volontà non univoca di istituzioni e forze sociali. Il problema è allora capire cosa serve di urgente, cosa possono dare le istituzioni e in che modo le forze sociali possono integrare. E’ chiaro che il quadro dell’occupazione è abbastanza inquietante, la disoccupazione non aumenta come potrebbe ma c’è il meccanismo della disoccupazione nascosta via cassa integrazione in deroga. Se vogliamo avere espansione occupazionale, cosa diamo in cambio? Solo in questo modo si può certificare la bontà della richiesta. Vogliamo mettere in palio un po’ di flessibilità del lavoro? Che non significa precarietà ma significa, in una piccola comunità, gestire la mancanza di posti di lavoro, assicurandoli nello stesso posto fisico.

Non c’è già troppa precarietà per introdurre anche maggior flessibilità?

Si tratta di trasformare la precarietà in flessibilità garantita. Ad esempio, un cuoco può lavorare 6 mesi in strutture di mare e 6 mesi in strutture di montagna senza che nessuno abbia da ridire poiché è considerato normale che quel lavoro segua i flussi turistici. Oggi il tessile ed altri settori lavorano just in time e, salvo grandi imprese, è difficile abbiano lavoro per 12 mesi. Allora un operaio, ad esempio, potrebbe lavorare 8 mesi nel tessile e 4 mesi alla pulizia delle strade. Per fare questo gli enti dovrebbero offrire garanzie.

quadrilateroIn Umbria ci sono in programma due grandi opere infrastrutturali: la prima è il così detto Quadrilatero che ha l’obbiettivo di accorciare i tempi di percorrenza Perugia – Ancona e porterà con se insediamenti industriali e commerciali a ridosso del tracciato nelle “aree leader” e da cui è sostanzialmente tagliata fuori Terni visto che è un’opera che riguarda la parte settentrionale della regione. Quali conseguenze comporterà per l’Umbria e per Terni?

Le istituzioni possono adottare due diverse filosofie: o portare avanti tutti i territori allo stesso modo oppure valorizzare quello con più potenzialità, in questo caso Perugia, in previsione di una redistribuzione e quindi una ricaduta positiva anche su Terni. Per quanto riguarda il Quadrilatero, si sceglie di puntare su Perugia perché quell’investimento potrebbe rendere di più rispetto che ad uno analogo effettuato a Terni: è un ragionamento che ci può stare. Bisogna poi vedere se il Quadrilatero sarà efficace per l’auspicata integrazione tra Umbria e Marche.

L’altra grande opera infrastrutturale è la trasformazione in autostrada della E45 caldeggiata dalla Giunta Lorenzetti che nel Disegno strategico territoriale abbandona l’immagine considerata “inattuale” di “Umbria cuore verde d’Italia” per arrivare ad “Umbria territorio di snodo”. Quali benefici potrebbe avere l’Umbria da quest’opera dal costo di 11 miliardi di euro?

Tecnicamente non so se si potrà realizzare la trasformazione in autostrada della E45, è veramente complicata, potrebbero non bastare nemmeno 11 miliardi. Inoltre questo miglioramento della viabilità potrebbe comportare uno svantaggio: l’Umbria potrebbe essere soltanto transitata e di fatto ‘saltata’. Per l’Umbria sarebbe piuttosto prioritario sviluppare la possibilità di movimentazione merci su ferro.

Mancano 8 mesi alle elezioni amministrative e si sta entrando in clima elettorale. Fino ad oggi si è parlato di candidature, nei prossimi mesi, si spera, si parlerà di programmi: quali politiche dovrebbero essere prese maggiormente in considerazione?

C’è un lavoro da fare più che un programma: si tratta di raccogliere le disponibilità di imprese, sia quelle esistenti che quelle che potrebbero insediarsi in futuro e ragionare con loro. Va evitato di fare quello che sta facendo la Marini che si era presentata con un programma concentrato sulla green economy ed ora sta solo chiedendo innovazione a 360 gradi senza più riferimento alla green economy, almeno da quello che si legge sui giornali.

Nonostante ci siano già 40 milioni di euro governativi disponibili, il rilancio del polo chimico ternano continua ad essere impantanato nella trattativa con Basell.

Sembra che non ci sia un amministratore che sia disposto a metterci la faccia, anche con gesti eclatanti. Come con la vicenda Ast-Outokumpu, c’è la notizia, poi c’è il ripensamento e si rimane con il ‘vedremo’. Un atteggiamento che ricorda il caso emblematico delle vicende legate all’abolizione della Provincia. C’è stata una mobilitazione per giustificare agli occhi dell’elettorato umbro che bisognava spostare un po’ di comuni perché le province dovevano affrontare nuovi compiti e una nuova progettazione avrebbe dovuto garantire una nuova funzionalità poi, passato il pericolo, ‘chi se ne frega delle nuove funzionalità’.

L’impressione che se ne ricava è che quegli sforzi erano diretti a mantenere in piedi l’Ente provinciale solo per non perdere un “poltronificio”.

Se qualcuno pensasse che tutta la manovra è stata fatta per questo, probabilmente non potremmo dargli torto. Poi forse sbaglia ma è stato fatto di tutto per confermare questa valutazione.

Tornando alla green economy cosa si potrebbe fare?

Se si punta sulla green economy e si decide di battere questo punto, si potrebbero pagare 200 borse di studio su progetti di economia verde. Da lì non nascerebbero nuove Novamont, d’accordo, ma professionisti in grado di operare nel settore.

Quindi un po’ sulla scia della proposta degli studenti di Scienze politiche che avevano proposto la costituzione di un Polo delle Scienze Socio-Economiche, proposta poi ripresa dal Movimento 5 Stelle e declinata “sull’economia del terzo millennio”.

Sì ma anche questa facoltà rischierebbe di essere una cattedrale nel deserto. Con green economy si intendono molte cose diverse tra loro: occorrerebbe puntare su una concentrazione di iniziative plurisettoriali. Per quanto riguarda l’università a Terni, probabilmente alcuni progetti non potevano camminare con le gambe asfittiche delle poche risorse disponibili. Ad esempio, la facoltà di Scienze politiche che pure aveva un bel progetto, all’inizio abbastanza coltivato, non poteva essere gestito con i soldi col contagocce e Terni oggettivamente non poteva permettersi di finanziare un corso la cui finalità non era locale ma nazionale. Mentre la facoltà di Economia fornisce teste da impegnare immediatamente sul campo indigeno, l’esperto in geografia politica del conflitto a Terni non serve. Quindi Scienze politiche più che fornire teste per il mercato locale, avrebbe dovuto essere un’occasione di spesa di persone che venivano da fuori e risiedevano a Terni.

In passato diversi rappresentanti hanno parlato della vicinanza con Roma come di un’opportunità da sfruttare senza entrare nel merito di provvedimenti. Quali potrebbero essere concretamente politiche utili da attuare?

Un progetto che non mi dispiaceva era quello che prevedeva la realizzazione del tracciato di Passo Corese, volto ad orientare le piccole attività di Terni sul mercato di Roma. ‘L’operazione di Passo Corese’ può essere vista o dal lato della domanda, quindi con la realizzazione della bretella che fa felice i costruttori, i fornitori di asfalto ecc che così avrebbero lavoro per 5 anni. Oppure può essere vista come strumento di una capacità di offerta che ha Terni di servire il mercato di Roma. In questo caso non si tratterrebbe di limitarsi a realizzare 4 corsie, ma poi di portare a Roma panpepato, ciriole, Ovito ed altri prodotti tipici. Per questo bisognerebbe però fare anche una scommessa perché sappiamo che oggi conta la sostanza ma conta molto anche l’immagine: la bretella dovrebbe essere esemplare e con un’area industriale pensata a tavolino modello Le Corbusier, cioè progettata con il verde, gli spazi, la mobilità ecc. Non per un gusto estetico ma perché se l’obbiettivo è rifornire il mercato di Roma, probabilmente il grosso sarebbe costituito da prodotti alimentari che dovrebbero partire da un’area apprezzata anche ecologicamente. Un’area che così garantirebbe il prodotto oltre a garantire pulizia e riduzione di costi.

Fino ad oggi l’unica conseguenza di questa vicinanza con la Capitale sembra invece essere quella di subire il fenomeno del pendolarismo del crimine.

C’è anche un pendolarismo semi-sano che è quello di coloro che si sono trasferiti nel ternano continuando però ad avere tutti i propri interessi a Roma. Il rischio in questo caso è di fare grandi quartieri dormitorio, con comunità chiuse. La vicinanza con Roma è un’opportunità concreta a patto di integrare l’offerta con elementi in grado di trattenere all’interno della comunità ternana il massimo degli stimoli dei soldi spesi, altrimenti c’è il rischio che l’eventuale bretella vada a solo a vantaggio di Roma con i ternani che potrebbero rivolgersi a professionisti romani, fare la spesa a Roma e quindi svuotare Terni. Va abbandonata la logica autoreferenziale, va tenuto conto che questi meccanismi sono sempre bidirezionali.

Recentemente il sindaco ha proposto lo strumento del Piano strategico per poi accantonarlo. Quali strumenti tecnici potrebbero essere realmente utili per Terni?

Il problema non è lo strumento tecnico ma la volontà di utilizzarlo. E’ come dire: ‘non so cucinare ma mi sono comprato il forno superventilato’: bruciavi gli spiedini prima e li bruci anche dopo. Il punto è mobilitare le risorse disponibili con regole chiare. Oggi il dramma della partecipazione è che i cittadini non si fidano. Pensano: ‘io do’ l’idea poi, o la gestiscono e ci guadagnano solo loro, oppure non ha alcun seguito’. Quindi qualunque strumento può dare una mano se si dimostra che serve, cioè se viene fatto vedere all’opera. Utilizzando anche lo streaming. E le riunioni di partecipazione non devono essere volte a raccogliere il consenso ma a raccogliere contributi.

Come si può spiegare il fatto che ad un certo punto, soprattutto nelle Amministrazioni comunali guidate da Raffaelli, in un territorio storicamente anticlericale, la Diocesi sia finita per essere protagonista dell’indirizzo politico e culturale della città?

Spesso nelle piccole comunità si saldano rapporti personali che vanno al di là delle ideologie.

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  • Marco

    Considerazioni condivisibili ma questi politici non sono in grado di cogliere opportunita’ sono presi dalle poltrone non dalle politiche utili

  • Giolitti

    Effettivamente l’idea della flessibilità non è male: 6 mesi cuoco, 6 mesi stradino. Ma anche 6 mesi professore e 6 mesi stradino