Ragazza sequestrata in un negozio gestito da cinesi: una bufala razzista

Circola da qualche settimana una storia raccapricciante. Una ragazza intenta a fare acquisti sarebbe entrata in un negozio del centro di Terni gestito da cinesi e non sarebbe più uscita. Il fidanzato che aspettava la giovane fuori dal locale, non vedendola fare ritorno dopo diversi minuti, avrebbe chiesto notizie ricevendo dai negozianti asiatici un laconico: “Qui non è entrata alcuna ragazza”. Allarmato, il giovane avrebbe allora chiamato la polizia e dalla perquisizione del locale effettuata dagli agenti sarebbe emersa una raccapricciante realtà: la ragazza era stata sequestrata, legata ad un tavolo d’acciaio, rasata e destinata all’espianto di organi. Solo l’intervento degli agenti avrebbe salvato la giovane da un’orribile fine.

Questa notizia, che somiglia a leggende metropolitane diffuse in altre città, non trova alcun riscontro nella realtà. La polizia di Terni nega che sia mai avvenuto un fatto simile. Si tratta, in sostanza, di una bufala, di una notizia falsa, priva di qualsiasi fondamento.

Nonostante l’assurdità della vicenda (è impensabile si possa nascondere una sala operatoria all’interno di un locale adibito ad esercizio commerciale; è illogica la rasatura dei capelli in previsione dell’espianto di organi; è del tutto incredibile il fatto che esistano criminali tanto sciocchi da compiere atrocità simili alla luce del sole ed all’interno del proprio domicilio, per giunta aperto al pubblico) la storia ha avuto grande risonanza tra i cittadini di Terni che, ritenendola attendibile, l’hanno resa celebre con un rapido passaparola e l’hanno propagandata sui social network.

Da questa falsa storia emerge comunque un fenomeno vero: la tendenza a ritenere attendibile qualunque voce, anche la più insensata, che accosti extracomunitari a fatti atroci. Colpisce la superficialità e la totale mancanza di capacità di analisi delle persone che ritengono veritieri racconti così strampalati. Forse colpa di pregiudizi talmente radicati da costituire incrollabili certezze e così forti da escludere la possibilità di metterli in discussione. Non c’è alcun bisogno di ragionarci su: “cinesi che trafficano organi umani” per alcune persone è quasi un fenomeno naturale. Poco importa se i dettagli della vicenda somigliano a quelli di un racconto di fantascienza: la notizia va a confermare un incrollabile stereotipo ed è quindi considerata vera.

Certo, non si può negare che parte degli immigrati venga in Italia al solo scopo di spacciare, rubare, rapinare. Se non fosse così, non si spiegherebbe come circa un terzo del totale dei detenuti presenti nelle carceri italiane sia composto da stranieri (quando gli immigrati rappresentano meno del 10% del totale della popolazione). Come è innegabile che alcuni stranieri siano squallidi delinquenti, è altrettanto evidente come buona parte di loro sia invece formata da onesti lavoratori. Inutile dire che ottuse generalizzazioni sono insensate quanto pericolose.

Non tutti gli italiani emigrati tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 negli Stati Uniti erano mafiosi o criminali. Eppure molti nostri connazionali scontarono colpe che non avevano ed una pessima fama costruita dai peggiori che li avevano preceduti. Era il 14 marzo 1891 quando a New Orleans undici siciliani furono linciati. Una folla di americani fece irruzione nella prigione in cui erano detenuti, sulla scia della furiosa reazione ad un processo che aveva scagionato i siciliani e non era riuscito a individuare i responsabili dell’uccisione del capo della polizia. Un massacro di persone innocenti che si guadagnavano faticosamente da vivere lavorando nei campi e nelle piantagioni, sottopagati e sfruttati.

Stampa