Bel Ami, la recensione

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Di Luca Fabbri

Ecco come sprecare una sceneggiatura di qualità, bell’e pronta, perfetta per le fauci del grande pubblico: Bel Ami. Nel film del tandem Donnellan-Ormerod non c’è l’ombra del temperamento da arrampicatore sociale, della verve da sciupafemmine sfoggiata dal Seduttore nel romanzo di Guy de Maupassant; solo noia e un protagonista che fa dal primo all’ultimo minuto la figura del cascamorto, neanche fosse un tronista qualsiasi.

Un peccato. E dire che di carne da mettere al fuoco ce n’era a chili. Il libro, pubblicato nel 1885, dovrebbe essere inflitto a scuola come compito per le vacanze estive. Si legge d’un fiato, diverte e c’è solo da prendere nota.

Perché la morale delle imprese di Georges Duroy (detto Bel-Ami) è di un’attualità sconfortante. Basta guardare un telegiornale. Il tuo unico talento è non averne nessuno in particolare, eppure hai la curiosa pretesa di sfondare col massimo del risultato e il minimo sforzo? Sei a cavallo. Basta tirar fuori la faccia tosta e far la corte a chi di dovere. Anni di precariato, di frustrazioni, di impieghi pagati una miseria risparmiati, alla faccia di chi passa la giovinezza sui libri o sgobba come un mulo per imparare un mestiere.

Il mondo è pieno di tipi così, un secolo e mezzo fa come oggi, inutile scandalizzarsi. Duroy non sa fare assolutamente niente, lavora in un giornale per grazia ricevuta, tant’è che scrive “come un fattorino”, confonde il coltello da pesce con quello per la carne, ciononostante riesce ad entrare a far parte crème di Parigi. Facendo l’unica cosa che sa fare: sesso. Anche con le brutte se necessario, un vero maschio, non c’è che dire. Riesce a tenere sotto scacco i potenti, conquistandone le mogli per ottenere favori e successo, ennesima dimostrazione di quanto gli uomini, in fondo, siano più sciocchi delle rispettive compagne.

Messa così, la storia di questo straordinario sfasciafamiglie dovrebbe pur divertire. Sennonché il film fa acqua. La trama sembra sfilacciarsi e non cogliere lo spirito del libro, la malinconia senza fine del suo protagonista, la costante paura della morte. Spesso i conti non tornano e non si capisce come abbia fatto il Nostro, dato il costume dell’epoca, a folgorare la dama di turno dopo averle rivolto parola appena due volte. Sembra di stare a Ibiza, stiamo scherzando.

Con una di esse è sufficiente un cesto di pere come regalo e il gioco è fatto: averlo saputo in anticipo, avremmo tutti voluto vivere a fine ‘800. Ma il film dà il peggio di sé nell’intero parco attori: tutti rimandati a settembre. I personaggi femminili, vere protagoniste dell’opera di Maupassant, mostrano sempre un solo lato della personalità, che oscilla tra la ninfomane repressa e la finta santa da salotto buono. Quanto a Lui, Robert Pattinson, avremmo preferito evitare il tiro al piccione da critica radical chic, ma l’evidenza ci ha messi all’angolo: per due ore fa sempre la stessa faccia. Da pirla.

Voto: 4

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